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Ricerca storica a cura dell' artista Gino Di Grazia





Marianne von Werefkin

Marianne von Werefkin è stata una pittrice espressionista e discendeva da famiglia aristocratica della Russia zarista. Figura dal grande spessore intellettuale e di grande interesse storico-artistico, dalle sue esperienze ottocentesche russe, tra le fila dei realisti e dei simbolisti, a quelle tedesche di Monaco di Baviera, la Werefkin e' stata personalità con un inconfondibile stile espressivo, lirico, visionario e spirituale. Marianne von Werefkin, nata Marianna Wladimirowna Werewkina (o Werjowkina) - (si pronuncia Marianna Vladimirovna Verëvkina) - (In Russo: Мариамна/Марианна Владимировна Веревкина), naque il 10 Settembre (Calendario Gregoriano) [29. Agosto (Calendario Giuliano] del 1860 a Tula, nella Russia zarista e mori' il 6 Febbraio del 1938 ad Ascona, in Svizzera. Marianne von Werefkin nasce a Tula (Capitale dell'omonima Regione) il 29 agosto 1860. Il padre Vladimir V. Werefkin, all’epoca comandante del reggimento di San Pietroburgo, stazionato a Tula, apparteneva ad una vecchia famiglia aristocratica moscovita. Il padre divenuto generale, che si era fatto notare nella guerra di Crimea e per questo aveva ricevuto in dono una tenuta estiva a Blagodat, in Lituania. La madre, (nata di cognome Daragan), discendeva da un’antica stirpe principesca cosacca. Marianne aveva due fratelli piu' giovani di lei: Peter e Wsewolod. La madre era pittrice e la famiglia, oltre che ricca, era votata alla cultura. Marianne crebbe dunque negli agi e nel rispetto della sua vocazione. Fu la madre, pittrice di icone e ritrattista, a scoprire e assecondare il talento della figlia procurandole una solida istruzione artistica. 1868 la Werefkin visita a Vilnius (in Lituania) il Marie Institute, qui il suo talento nel disegno viene scoperto. Nel 1880 Marianne diventa allieva privata di Ilja Repin, il più illustre esponente del realismo russo, sotto la cui guida raggiunse una notevole capacità espressiva tanto da farle attribuire l’appellativo di "Rembrandt russo" e “la Velásquez”, “la Zurbáran”. Nel 1883 si iscrive all’Accademia moscovita sotto la direzione di Michajlovic Prjanisnikov, uno dei pittori di maggior spicco tra gli Ambulanti, gruppo di artisti impegnato a portare l’arte al popolo attraverso mostre itineranti in tutta la Russia. E divenne così “un’ambulante”, come venivano allora chiamati i pittori russi che abbracciavano il realismo, denunciando le condizioni misere del popolo. In un autoritratto di quel periodo, Marianne si dipinse con i capelli corti da ragazzo, in divisa da marinaio, e con la tavolozza in mano. Poi, a 28 anni, nel 1888, si sparò accidentalmente alla mano destra (con la quale dipingeva) durante una partita di caccia. L’incidente la danneggiò in modo irreversibile. Non per questo rinunciò a dipingere. Semplicemente cambiò tecnica. E con la tecnica, il modo di concepire la pittura. Si avvicinò alle avanguardie, comprese, tra i primi, la forza di Edvard Munch e dell’espressionismo. In seguito avrebbe anche, con le sue discussioni teoriche, aperto le porte all’astrattismo, sulla cui strada, però, non si avventurò mai. Nel 1886 il padre di Marianne, diventato generale, viene nominato comandante della fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo. Qui avvenne nel 1892 l’incontro, che condizionerà tutta la sua vita, con Alexej Jawlensky, giovane ufficiale, minore di lei di quattro anni, che seguiva i corsi serali all’Accademia di Repin. Fu l’inizio di una relazione straordinaria in cui la Werefkin rinunciando per dieci anni alla sua pittura si dedicò interamente alla promozione dell’arte di Jawlensky, con l’obiettivo di farne il profeta della Nuova Arte, arte che lei, in quanto donna, riteneva di poter solo annunciare, ma non realizzare. Il loro legame durerà circa trent’anni e cambierà le prospettive della loro vita. Abbandonano entrambi le vite stabilite dalle famiglie per scegliere di vivere nell’arte. Alexej von Jawlensky, ex ufficiale russo naturalizzato tedesco, voleva abbandonare la carriera militare per fare il pittore. Di lui Marianne divenne pigmalione e mecenate: «Io, una donna in cerca di colui che potesse dare espressione al proprio mondo interiore, incontrai Jawlensky... puro desiderio divino, irrealizzabile in terra», commentò, sopravvalutando sia l’onestà intellettuale sia il valore di Jawlensky come artista. Il 13 Gennaio 1896, il padre di Marianne morì e le lasciò una fortuna: una pensione di 7.000 rubli zaristi l’anno (oggi circa 90.000 € ). Jawlensky si congedò nel frattempo dall’esercito. Nel 1896, si trasferisce con lui a Monaco di Baviera, allora fra le capitali europee dell'arte che ospitava, peraltro, una nutrita comunità di artisti russi.Assieme abitano a Schwabing, il quartiere degli artisti di Monaco di Baviera. Il loro appartamento nella via Giselastrasse diventerà epicentro della Monaco creativa di quegli anni. Lì si incontrarono pittori, scrittori, rivoluzionari, dandy, musicisti e filosofi. L’incontro con Alexej Jawlensky, l’amore appassionato per lui e per la sua opera la distolsero per anni dalla propria pittura, da questo momento abbandona la pittura per circa dieci anni. Il suo salotto diviene un animato punto d’incontro dell’avanguardia intellettuale e artistica internazionale. Vi si riuniscono in accese discussioni sui temi più attuali dell’arte Kandinsky, Gabriele Münter, Franz Marc, Paul Klee, Kubin, Nolde, il compositore e pittore Schönberg, il danzatore Alexander Sacharoff, Djaghilev e molti altri. È Jawlensky che in quegli anni cresce artisticamente. Mentre Marianne diventa sempre più donna del suo tempo. Fa scelte coraggiose come quella di non avere figli. Convinta di dover coltivare soltanto il genio del suo più pigro compagno, lavorò di nascosto pur di promuovere la sua ispirazione in pubblico. Solo più tardi avrebbe compreso l’errore: «Lui non mi capiva», avrebbe scritto nelle sue Lettres à un Inconnu (pubblicate nel 1999 a cura di Gabrielle Dufour-Kowalska, Klincksieck), «e guardava, triste, banalmente triste... Gli ho mostrato il mistero dell’arte, ma non notava nulla. Non era colpa sua, ognuno dà quel che può... Prese quello che poteva prendere, ed era riconoscente, come poteva...». Studia moltissimo ed è lo sprone di ballerini come Alexander Sacharoff, che indeciso tra la pittura e la danza si abbandonerà al movimento proprio nel salotto della Werefkin. Fulcro delle discussioni è la Werefkin, che vi prodiga la sua eccezionale cultura, alimentata da letture aggiornatissime, in particolare sui movimenti simbolisti, artistici e letterari, ma anche scientifici. Le sue idee, consegnate nei suoi scritti, anticipano quelle di Kandinsky, quelle stesse di Worringer sull’empatia. La sua conoscenza delle nuove teorie e tendenze artistiche francesi (cloisonnisme, Pont-Aven, Nabis) è chiaramente in anticipo su quelle dei suoi amici. Quanto le sue concezioni fossero avanzate lo dimostrano le “Lettres à un inconnu”, appassionato diario, scritto dal 1901 al 1905, in cui la Werefkin confida a un suo immaginario interlocutore la sua aspirazione verso un’arte nuova che riconcili l’individuo col mondo, fondi in una sintesi il visibile e l’invisibile, il sensibile e il trascendente. Il testo è una miniera di riflessioni filosofico-estetiche che mostrano la profondità e modernità del pensiero della Werefkin. Nel 1906, essa riprende, quarantenne, a dipingere. Nel 1897 la Werefkin con Jawlensky, Grabar, Ažbe e Kardowsky e altri amici artisti fa un viaggio a Venezia . Nel 1903 intraprende un viaggio di studio con Jawlensky in Francia. Sono influenzati dai dipinti in stile Neo-impressionista e di Van Gogh. In Francia stanno poco meno di un anno. Da questo viaggio cresce nella Werefkin la voglia di riprendere a dipingere di nuovo. Ha creato le sue prime opere espressioniste nel 1907. In queste ha seguito Paul Gauguin, lo stile di Louis Anquetin e dei Nabis in "pittura di superficie", pur mostrando anche l'influenza di Edvard Munch. Nel 1909, insieme a Jawlensky, aderisce alla Nuova Associazione degli Artisti di Monaco ed e' cofondatrice della “Neue Künstlervereinigung München”, fondata il 22 marzo. Nel 1911 aderisce al nuovo gruppo "Der Blaue Reiter" (Il Cavaliere azzurro) fondato da Wassily Kandinsky, Franz Marc e Gabriele Münter. Nella cerchia degli amici a Monaco di Baviera, le viene dato il soprannome di "la francese". E' un periodo fondamentale per il suo sviluppo artistico, durante il quale si allontana dal Realismo in cerca di un nuovo linguaggio stilistico. E' nell'ambito del nascente Espressionismo che l'affascinante pittrice instaura e coltiva nuove amicizie, come quella con Kandinsky e la Münter. Di Kandinsky e della Münter fu amica, ispiratrice e consigliera. Fascino, personalità e cultura fecero di lei "L’ Amazzone del Cavaliere Azzurro" ma anche artista originale, di grande inventiva, ricchezza di soluzioni cromatiche, di dimensione visionaria. Nelle sua produzione sapeva coniugare curiosità e partecipazione umana riuscendo a raffigurare situazioni comuni della vita quotidiana trasformandole in allegorie dense di significati. Anche nel 1911, la Werefkin trascorre l'estate con Jawlensky e altri amici sul Mar Baltico. Alla fine dell'anno la Werefkin viaggia con Jawlensky a Parigi, dove fa visita per la prima volta a Matisse. Partecipa ad esposizioni del Cavaliere azzurro, in particolare presso la celebre Galleria Der Sturm di Herwarth Walden, a Berlino. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale sono costretti a lasciare precipitosamente la Germania. La pittrice e Jawlensky si trasferiscono in Svizzera: fu una vera e propria fuga. E in parte una beffa: la Germania l’aveva espulsa perché cittadina russa. Con la rivoluzione sovietica perse sia i beni sia la cittadinanza. E dovette arrangiarsi disegnando manifesti pubblicitari per procurarsi da vivere. Si stabiliscono dapprima a Saint Prex, poi, nel 1917, a Zurigo, dove frequentano l’ambiente Dada. La Werefkin espone presso la Galleria Coray. Quindi, per curare una malattia polmonare di Jawlensky, si installa con lui ad Ascona. Siamo nel 1918, nel 1921 si consuma la rottura tra i due. Jawlensky parte per Wiesbaden, forte del sostegno di Emmy Scheyer che nel frattempo aveva intrapreso a organizzare mostre di suoi quadri in Germania. Non ignorava il temperamento frivolo e donnaiolo di Jawlensky, ma ne era profondamente innamorata - anche se, all’epoca del loro incontro era già legata a un altro uomo, che dimenticò per lui. Ed invece Alexej cominciò subito a tradirla. Per tutta la vita si sarebbe fatto mantenere da donne che l’adoravano. Jawlensky tradì Marianne con la sua cameriera, Hélène, che era entrata a servizio dalla Werefkin a 14 anni, nel 1895; ci rimase 26 anni. Nel 1902 Hélène e Alexej ebbero un figlio, Andreas, nato a Anspaki in Russia. E Jawlensky, nel 1922, sposò Hélène Nesnakomoff, a Wiesbaden. L’impossibile patto ideale stretto tra lui e la Werefkin era irrimediabilmente infranto. Finivano così 29 anni d’amore. O almeno così Marianne li aveva considerati. Nel 1921 la Werefkin partecipa alla Biennale di Venezia. Nel 1922 è cofondatrice del Museo comunale, creato idealmente con la donazione di loro opere da parte di artisti legati ad Ascona. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale la pittrice si trasferisce ad Ascona, in Svizzera, dove, ormai sola, nel 1924 fonda con altri sei artisti stranieri il gruppo “Der Grosse Bär” (L' Orsa Maggiore). All’ associazione aderirono gli svizzeri Ernst Frick e Albert Kohler, i tedeschi Otto Niemeyer-Holstein e Walter Helbig, l’olandese Otto van Rees e l’americano Gordon Mc Couch. Passò gli ultimi anni in solitudine: in paese era al tempo stesso venerata come artista e considerata una vecchina bizzarra. «L’arte era il bambino che dormiva nel letto tra noi», aveva affermato a proposito di Aleksej Jawlenski. E in effetti, a parte gli amici, a non abbandonarla fu proprio il suo talento. Alla fine aveva compreso la totale autonomia creativa di una donna. Chiudendo le Lettres, scrisse finalmente: «Sono più che mai un’artista. La mia arte, che avevo deposto per amore e rispetto, ritorna a me più grande che mai». Di Alexej aveva alla fine scritto: «Chi eri dunque? Un’apparenza che ho adornato di penne di pavone». Però forse, nei suoi confronti, il vero ingrato fu Kandinskij. Le doveva moltissimo e non lo ammise mai pubblicamente. Nel 1928 espone con alcuni amici pittori a Berlino, Ginevra, Basilea e Lucerna. Nel 1937 i suoi dipinti sono stati diffamati in Germania come "arte degenerata". Persa con la rivoluzione russa la forte rendita erogatale dallo zar e senza più mezzi, la Werefkin si guadagnava da vivere come rappresentante di prodotti farmaceutici e opere grafiche, dipinse in serie cartoline illustrate. Sopravvisse, in realtà, con l’aiuto di pochi amici, di fedeli collezionisti e anche di cittadini di Ascona, in primis i suoi generosi locatori. La sua integrazione nella vita del paese fu totale. Vicinissima alla popolazione locale, fu chiamata affettuosamente la nonna di Ascona. Lei che nei suoi primi scritti aveva declamato: “J’aime les choses qui ne sont pas”, “je suis insatiable dans la vie de l’abstraction” dirà più tardi “Ascona mi ha insegnato a non disprezzare niente di umano, ad amare allo stesso modo la grande felicità del processo creativo e la miseria dell’esistenza, a considerarli il grande tesoro dell’anima.” Trasloca ad Ascona nel marzo e aprile del 1918 e qui vi si stabilisce definitivamente. Ascona, un paesino tra le montagne svizzere, mitigato dal Lago Maggiore, è una città che da molti fu definita magica e che per certi versi, indubbiamente, lo è stata se è riuscita a far confluire nelle sue vie i maggiori artisti del ‘900. Nell’ambiente culturale d’Ascona tra il 1918 e il 1938 faceva spicco la cosiddetta “colonia degli artisti”, la “Montparnasse” bohémienne d’Ascona, dove trovarono rifugio, soprattutto tra le due guerre, poeti, artisti, filosofi, teosofi, anarchici, espatriati politici. Dal suo arrivo ad Ascona con Alexej Jawlensky (1918), grazie al contatto, a Zurigo nel 1917, con vecchi e nuovi amici dell’ambiente culturale del movimento Dada (Hans Arp, Sophie Täuber, Rudolf von Laban, Mary Wigmann, Walter Helbig, Otto e Adja van Rees, Arthur Segal, ecc.) e alla fama di Monte Verità, che proprio nel 1917 raggiunse la sua massima popolarità con l’organizzazione del congresso dell’Ordine dei Templari di Oriente e lo spettacolo della scuola di danza dell’ungherese Rudolf von Laban, sua vecchia conoscenza. Si da testimonianza di quanto questa nuova condizione di vita abbia influito sulla sua arte mostrando come, proprio a contatto con la popolazione di Ascona, la sua opera rinnova l’interesse per i semplici e le faccende umane e, dall’altra, in sintonia con la storia alternativa di Monte Verità, si fa sempre più mistica e spirituale. La Werefkin aveva animato nel 1926 il barone von der Heydt per l'acquisto del Monte Verità. La figura carismatica della “baronessa” Veriovkina era il perno dell’ambiente bohéme, ovunque lei andasse portava con sé uno stuolo di artisti. Così ad Ascona, dove era costretta a negarsi per evitare i giovani che la cercavano. Lei, la “signora dai cappelli strani”, che dalla Germania si trasferisce in un piccolo borgo, saprà amare quella terra e riconoscerà la forza di quei luoghi nei suoi dipinti. Ad Ascona, la Werefkin torna a dipingere. Il suo misticismo, conoscerà punte di esaltazione profonde, sotto il monte che aveva accolto i "vegetariani" e i "balabiott", così venivano chiamati gli strani personaggi che brulicavano ad Ascona. Tra loro si muovevano Charlotte Bara con le sue danze macabre, e Otto Gross, il “profeta” del matriarcato, e questa donna di nobile stirpe che, secondo le letture più contemporanee, ispirò Munch nella sua visione distorta e angosciosa dei volti. Ma Marianne vedeva sempre la luce e l’esaltazione oltre la contingenza. Nei suoi quadri il monte è una figura costante o la luce che viene dall’alto a cui si deve tendere. Le metafore sono a volte semplici altre più complesse. La Werefkin viveva nel palazzo del "Pisoni", dove oggi è situato il Ristorante Torre e con la dottoressa-pittrice Anna Iduna Zehnder hanno condiviso un'amicizia. Benché colta, intelligente, decisa a seguire la sua strada fino in fondo, fu perseguitata per anni dalla convinzione che una donna, da sola, non potesse concepire qualcosa di grande e di creativo. Sosteneva: «Credevo che una donna da sola non potesse farcela. Mi dicevo: sono una donna, sono priva di ogni capacità di creare. Sono in grado di capire tutto e non so creare niente... Mi mancano le parole per esprimere il mio ideale. Cerco l’essere umano, l’uomo che possa dare forma a questo ideale». Nel 1921 Fondazione del "Museo Comunale " di Ascona insieme con il pittore Ernst Kempter. Ad Ascona, la cittadina svizzera in cui visse dal 1918 fino alla morte, fece dono delle proprie opere al Museo comunale d’Arte Moderna, ponendo così le basi per una struttura permanente, ora sede di una fondazione a lei dedicata. Nel 1922 la Werefkin dona al neo fondato "Museo Comunale" di Ascona, tra i tanti, i suoi quadri: "La Famiglia", "Melodramma", "Schizzo di Ascona", anche " Casa Rossa" di Paul Klee, un abbozzo di Cuno Amiet e un'opera di Arthur Segal "La Famiglia". Nei suoi ultimi anni, dipinse manifesti. Tra i suoi amici vi erano "Carmen" e "Diego Hagmann", dei suoi protetti dalla povertà. Mori' il 6 Febbraio del 1938 ad Ascona, in Svizzera, e fu sepolta dopo il rito russo- ortodosso, nel cimitero russo di Ascona. La Werefkin e' morta di una malattia del cuore. La sua tomba, ornata da una croce ortodossa russa, dovrebbe trovarsi ancora oggi nel cimitero di Ascona. Nel "Museo Comunale d'Arte Moderna" di Ascona è situata la "Fondazione Marianne Werefkin", con circa 70 dipinti e 160 disegni della pittrice. Una lapide in Vicolo Ghiriglioni, presso l'Hotel Castello di Ascona sul Lago Lungo, ricorda la presenza della Werefkin nell'ex villaggio di pescatori. Nel 1927 lo scrittore Bruno Goetz le dedica il romanzo: "Il volto divino" dove la Werefkin e' la protagonista. Alla Werefkin e' stato anche dedicato un Film dal titolo: Ich lebe nur durch das Auge (Io vivo solo attraverso l'occhio). Genere : Biografico - Regia : Stella Tinbergen. - Attrice : Lena Stolze - Girato in Germania / Svizzera / Russia / Lituania nel 2009. La regista Stella Tinbergen dedicò un documentario a questa donna straordinaria attraverso una varietà di approcci visualizzati. I diversi approcci della regista Tinbergen descrivono l'artista e la donna in una luce ambivalente e diversificata e con gran attenzione ai dettagli. Un ritratto sfaccettato di una personalità impressionante la cui vita e di lavoro può essere riscoperta dal film che riflette la vita interiore dell'artista come un diario.

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Marianne von Werefkin

 

 

 

 





 

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